Come l’insegnamento della perspective taking a persone con disturbo dello spettro autistico influenzi le loro abilità sociali: risultati di ricerca e suggerimenti per i pratictioners.

Howlin definisce la perspective taking come “l’abilità di inferire sugli stati mentali altrui (i loro pensieri, credenze, intenzioni, desideri) e l’abilità di usare queste informazioni per interpretare ciò che gli altri dicono, trovare un senso al loro comportamento e predire cosa faranno successivamente.”

Si sostiene che la perspective taking, anche definita teoria della mente, sia un prerequisito che sostiene le abilità sociali; ciò ha condotto i ricercatori a valutare le strategie di insegnamento della perspective taking nelle persone con disturbo dello spettro autistico (ASD) come un modo per incrementare le loro abilità sociali.

I ricercatori che hanno provato a insegnare la perspective taking hanno generalmente intrapreso una di queste tre strade: 1) insegnamento di performance su compiti di false credenze; 2) insegnamento di frame deittici; 3) insegnamento di comportamenti socialmente significativi che richiedono di tener conto delle conoscenze altrui (applied perspective taking).

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La cartina di tornasole della teoria della mente è il compito sulle false credenze. I compiti più famosi sulle false credenze sono il test di Sally ed Ann o lo smarties test mediante i quali si è potuto constatare che i soggetti con ASD falliscono in percentuale maggiore rispetto a soggetti a sviluppo tipico con la loro stessa età mentale e sviluppo linguistico (e.g., Baron-Cohen, 1989; Perner, Frith, Leslie, & Leekam, 1989; Reed & Peterson, 1990; Yirmiya, Erel, Shaked, & Solomonica-Levi, 1998). Per dimostrare che questo compito è una misura accettabile della teoria della mente e che nei soggetti con ASD questo è un possibile sintomo core, i ricercatori hanno provato a insegnare agli individui con ASD come superare questo compito. Diverse strategie si sono dimostrate di successo in questo obiettivo: direct teaching (e.g., Feng, Lo, Tsai, & Cartledge, 2008; Swettenham, 1996), video modeling (e.g., Charlop-Christy & Daneshvar, 2003; LeBlanc, Coates, Daneshvar, Charlop-Christy, Morris, & Lancaster, 2003), thought boubbles (e.g., Paynter & Peterson, 2013; Wellman, Baron-Cohen, Caswell, Gomez, Swettenham, Toye, & Lagattuta, 2002) e l’analogia che “la mente è come una telecamera” (e.g., Fisher & Happé, 2005; McGregor, Whiten, & Blackburn, 1998a, b; Swettenham, Baron-Cohen, Gomez, & Walsh, 1996).

Più di recente gli analisti comportamentali hanno iniziato a lavorare riferendosi alla prospettiva della relational frame theory e di conseguenza hanno iniziato a pensare alla perspective taking come a una risposta relazionale, più nello specifico come una relazione deittica. Lovett and Rehfeldt (2014) hanno constatato che “le relazioni deittiche coinvolgono l’individuazione degli stimoli che devono essere messi in relazione in base alla prospettiva del parlante e non le proprietà formali degli stimoli”. La risposta deittica relazionale è stata insegnata con successo agli individui con autismo usando istruzioni a esemplari multipli delle tre relazioni deittiche (io-tu, lì-qui, adesso-poi) a tre livelli di complessità (semplice, invertito, doppiamente invertito). In genere, ai partecipanti viene presentata una breve descrizione delle relazioni e sono invitati a rispondere alle domande. Un esempio di relazione doppiamente invertita: “Io ho un mattone rosso e tu hai un mattone verde. Se io fossi in te e tu fossi in me, quale mattone avrei? E tu quale mattone avresti? ”.

Viene definita applied perspective taking l’insieme delle abilità sociali che richiedono capacità di perspective taking da parte dei soggetti. Le applied perspective taking skills sono probabilmente il risultato di un rinforzo socialmente mediato, ad esclusione del rinforzo “educativo” (Skinner, 1957) e perciò sono socialmente funzionali.

Peters e Thompson, nel 2018 hanno pubblicato su “Behavior Analysis in Practice” una review di 7 articoli pubblicati tra il 1997 e il 2016 volta ad indagare quale tra le tre tipologie di insegnamenti sopracitati, abbia delle ricadute sulle abilità sociali dei soggetti con ASD e sulla base di questo stabilire delle possibili strategie di insegnamento da suggerire agli addetti ai lavori.

I risultati della review ci mostrano che, ad oggi, solo l’insegnamento dell’applied perspective taking ha comportato un miglioramento nelle abilità sociali. In altre parole, sebbene si pensi che la teoria della mente e i frames deittici siano necessari per il comportamento sociale di tenere conto di ciò che gli altri sanno o credono, l’evidenza finora indica che l’apprendimento di entrambi questi repertori non è sufficiente per migliorare le abilità sociali. Si denota, inoltre, una scarsezza di ricerche relative agli effetti che l’insegnamento della perspective taking ha sulle abilità sociali e, nello specifico, non ci sono state ricerche che hanno messo in luce gli effetti dei frame deittici sulle abilità sociali negli individui con ASD. Nonostante l’evidenza supporti l’insegnamento dell’applied perspective taking per migliorare le abilità sociali, gli analisti comportamentali dovrebbero ancora essere cauti nella programmazione giacché al momento vi sono solo tre studi che descrivono procedure efficaci ma mancano di dati rispetto alla validità sociale, in particolare rispetto al livello di soddisfazione sui risultati ottenuti dalle parti interessate.

Gli autori dell’articolo, basandosi sui risultati della letteratura e ricordando che i clienti hanno diritto a un trattamento efficace, raccomandano l’insegnamento diretto dell’applied perspective taking qualora i familiari riferiscano che la mancanza di perspective taking sia un problema. Giacché vi sono ricerche limitate rispetto all’insegnamento dell’applied perspective taking, viene esaminata anche la ricerca correlata e il BACB code per sviluppare suggerimenti da fornire agli analisti comportamentali che vogliano pianificare programmi sull’applied perspective taking.

Per la definizione della variabile dipendente si suggerisce di:

  • Intervistare i familiari del cliente per definire operazionalmente i comportamenti che loro vorrebbero migliorare.
  • Osservare il cliente nella comunità verbale di appartenenza e prendere nota di tutti gli antecedenti che si verificano, delle situazioni sociali di interesse, quante volte si verificano e gli aspetti specifici che le caratterizzano, quali sono gli stimoli discriminativi e le conseguenze per le risposte appropriate/inappropriate in questo contesto.
  • Utilizzare il modello a 4 steps di Minkin, Braukmann, Minkin, Timbers, Timbers, Fixsen, et al. (1976) per assicurarsi che la risposta target sia socialmente valida:
    • Osservare il cliente mentre è con i pari e focalizzarci sulle risposte che caratterizzano il comportamento del cliente rispetto ai pari più abili, valutare quali risposte possano essere rinforzate naturalmente in quello specifico ambiente sociale.
    • Nella stessa osservazione si potrebbe valutare la validità sociale osservando i pari e chiedendo ai familiari di indicarci quali sono, secondo loro, i pari che risultano più abili nel contesto di riferimento e stabilire quali, tra le risposte da loro fornite, vogliano essere insegnate al cliente.
    • Fornire una validazione sociale dei cambiamenti comportamentali chiedendo agli interessati opinioni sulle performance del cliente dopo l’insegnamento e quando e quanto il cliente abbia avuto modo di utilizzare la risposta target nella comunità di riferimento.

Rispetto alla variabile indipendente gli autori, sulla base della letteratura, consigliano di usare esposizioni ripetute agli scenari sociali fornendo modelli di risposta appropriata + feedback contingente. Si può anche considerare di presentare ai partecipanti delle regole ed esemplari multipli di stimoli discriminativi e di partner sociali per promuovere la generalizzazione. È necessario, inoltre, assicurarsi che la risposta sia sotto il controllo degli stimoli desiderati incorporando nell’insegnamento dei non esempi (stimoli delta). Assicurarsi che la risposta sia sotto l’appropriato stimulus control, permette di evitare generalizzazioni indesiderate. Infine, è opportuno considerare di insegnare più di una risposta appropriata in ogni contesto sociale.

Ulteriori dettagli, dati ed una approfondita analisi degli studi afferenti alle tre aree indagate per l’insegnamento della perspective taking, nonché maggiori informazioni relativamente ai suggerimenti dati da Peters e collega sulle strategie da utilizzare per l’insegnamento, sono disponibili nell’articolo originale:                How Teaching Perspective Taking to Individuals with Autism Spectrum Disorders Affects Social Skills: Findings from Research and Suggestions for Practitioners (Lindsay C. Peters & Rachel H. Thompson)

L’articolo, pubblicato nel volume del 2018 in “Behavior Analysis in Practice”, può essere visionato a questo indirizzo: https://link.springer.com/article/10.1007/s40617-018-0207-2

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Scritto da: Dott.ssa Claudia Costella

Dott.ssa Claudia Costella, Psicologa, Analista del Comportamento in formazione, specializzata in Neuropsicologia. Ha lavorato come educatrice in contesti scolastici di ogni ordine e grado e come tutor per ragazzi con disabilità presso l’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”. Attualmente terapista ABA presso l’associazione Alba Onlus e Coordinatrice dei Master ABA di I e II livello tenuti dalla LUMSA e dal Consorzio Universitario Humanitas.